Tempesta

Un occhio blu e uno verde

di Paolo Jorio

Tre maschietti e due femminucce. Eravamo nati nella notte tra il 23 e il 24 giugno e nostra madre ci aveva raccontato che, appena venuti al mondo, in quella serata buia e con tante stelle, aveva visto in lontananza i falò levarsi altissimi tra le colline. Tra le mille lucciole di scintille che si libravano nel cielo scuro, per poi spegnersi lentamente, aveva visto alzarsi migliaia e migliaia di desideri di persone che, attorno a quei fuochi, avevano affidato, com’era tradizione della notte di San Giovanni, i propri sogni, le proprie illusioni, le proprie speranze scrivendoli su bigliettini di carta poi bruciati nel fuoco.

Lei, mia madre, aveva la straordinaria capacità di sentirli tutti e, tra quei desideri lanciati con speranza nell’aria, mi aveva accennato a quelli di una bella signora e del suo amore sconfinato per una femminuccia. Mi aveva anche detto che se fossi stata in difficoltà avrei dovuto pensare intensamente a lei. Io, però non capivo, ma mi addormentavo tra le sue braccia al canto della sua dolce ninna nanna. Era giovane, bella, bellissima, una madre speciale. Ho subito sentito il suo affetto sebbene fossimo ben cinque fratellini. Che belli i primi giorni con loro. Abbracciati tutti al petto di mamma e poi, appena aperti gli occhi, giocare a rincorrerci e a saltarci addosso, incuranti dei pericoli, incoscienti. In quei giorni faceva un gran caldo, questo me lo ricordo, ma durante il giorno, mamma ci sistemava sempre all’ombra di un profumatissimo cespuglio di rose ed era ammirevole come tentasse di refrigerarci tutti. Nessuno escluso. Non ho mai dimenticato il profumo intenso di quelle rose. Ci diceva che un caldo così non l’aveva sentito nemmeno lei…mai.

Mio padre non l’ho conosciuto e, se devo essere sincera, la mia mamma non me ne ha mai parlato. Ma si sa cosa accade in questi casi: i maschi fuggono sempre. Probabilmente era un avventuriero, oppure un pirata, o semplicemente uno come tanti, senza casa, che aveva fatto compagnia alla mia mamma per una notte e poi, la mattina dopo, aveva preso le sue cose ed era andato via.

Sono nata in campagna, quando di giorno era intenso il canto delle cicale tra gli alberi e la notte i grilli accompagnavano la scia delle stelle cadenti. L’ultima cosa che ricordo di mia madre sono i suoi occhi disperati, tristi, incapace di comprendere e di perdonare, mentre caricavano me e i miei fratellini su di un’automobile. Da lontano, da troppo lontano, l’ho vista fermarsi esausta e guardarmi. Era l’ultima volta. Ci avevano portato troppo distante da lei e, quando sono riuscita a fuggire, l’ho cercata invano. Non so quanto ho camminato. Mi hanno raccolta per la strada, stanca, affamata,  piccola e sola, il 25 luglio.  Mi hanno portato in un pronto soccorso, dove mi hanno lavato, dato da mangiare, ma non riuscivano a consolare la mia tristezza. Non riuscivo a dormire, pensavo e ripensavo a mia madre, al suo calore, ai suoi consigli e ho seguito ciò che mi aveva detto tempo addietro: se cerchi aiuto, pensa a una donna con i capelli castani. L’ho fatto e sono finalmente crollata in un sonno ricco di tanti sogni: la mia mamma che mi baciava teneramente, i miei fratellini che giocavano con me, e poi come avvolta in una nuvola mi è apparsa una bellissima leonessa, imponente, tutta bianca con labbra rosa tenui e un occhio blu e uno verde. Mi carezzava consolandomi e mi bisbigliava cose che non capivo. Mi parlava di prati fioriti, con ruscelli e di un grande bellissimo arcobaleno, dove sarebbe andata di lì a poco, mi raccontava con un velo di tristezza di una bellissima donna dai capelli castani, suo grande amore, che doveva lasciare. “ Devo proseguire il mio cammino” – mi disse. Poi ho sentito una bellissima musica e quello stesso calore che solo mia madre era riuscita a darmi e una frase che mi è rimasta dentro: “stai tranquilla, sorridi sempre e segui sempre il profumo delle rose. Troverai la tua strada!”

Il giorno dopo, il 26 luglio in un’altra parte del mondo una bellissima gatta bianca di nome Tempesta si staccava da una signora di nome Alessandra per iniziare un altro lungo viaggio.

Mi hanno chiuso in una gabbia, ero sola, la più piccola di tutti, ma ho continuato ad avere il mio sorriso di bambina per Amir, il mio amico tunisino sempre dolce con me, per tutti i ragazzi che mi venivano a trovare e giocavano con me e per tutti gli altri amici abbandonati come me che erano rinchiusi in quel posto. Sino al 25 agosto quando, nella notte, ho fatto un altro sogno molto strano: di nuovo la bellissima leonessa tutta bianca con un occhio blu e uno verde che mi avvolgeva in un bellissimo mantello e mi prendeva per una zampa, mi apriva la gabbia e mi accompagnava tra le braccia forti di un uomo e il sorriso di una donna. Mi sono svegliata agitata, confusa, desideravo tanto la mia mamma. Amir ha poi aperto le porte della mia gabbia e mi ha preso in braccio baciandomi. “Te ne vai piccola mia – mi ha detto dolcemente portandomi all’ingresso principale –  Avrai una casa tutta tua.” Ho visto i fiori intorno a me e il verde del prato, le cicale assordanti dell’estate riempivano i gorgoglii della mia pancia emozionata, il sole forte e accecante imbrattava i muri di cinta in pietra. Ho visto gli occhi imploranti di tanti altri chiusi lì dentro, soli.

E’ difficile comprendere come si possa comporre in un breve lasso di tempo un puzzle fatto di tanti minuscoli tasselli soprattutto per una piccola come me, ma quando ho visto un uomo molto alto e due ragazze, ho sentito che qualcosa stava per cambiare. Il racconto dei falò di mia madre, dei desideri lanciati nell’aria, la leonessa tutta bianca, il profumo delle rose. Ero felice e cercavo di capire chi, tra quelle due ragazze, fosse la bella donna con i capelli castani. Mi ha accolto tra le braccia forti l’uomo e ho subito capito che fosse il mio nuovo amico, l’ho baciato forte tante volte poi anche le ragazze mi hanno abbracciato. Le guardavo negli occhi per capire chi fosse la mia nuova mamma.  Una voce femminile, però, all’improvviso dall’interno dell’ufficio mi ha raggelato il sangue. “Non è lei. E’ una femminuccia, deve essere un maschio! Non è Lei!”

Ma come? Sono io –ho detto. Non mi riconoscete? Sono io! Domanda ad Amir! Controlla!”

Non ho più sorriso, davanti a me ho visto gli occhi tristi e disperati di mia madre, e quelli di tutti gli amici rinchiusi lì, ma lo erano anche quelli dell’uomo e delle ragazze. La donna ha quindi iniziato a leggere lentamente i numeri della mia matricola e… corrispondevano ai miei!

“Allora è proprio lei! Ha urlato.  Che bello è una femmina! Che bello!

E’ uscita dall’ufficio e mi ha abbracciato dicendomi: “Sei bellissima!”  La signora si chiama Alessandra, oggi 26 agosto, è il suo onomastico. Lei mi ha voluto fortemente adottare.

Sono solo una cagnolina tutta nera con la pancia marrone. Ho gli occhi neri. Mi chiamano Pepe. Nella mia nuova casa ho ritrovato l’amore della mia mamma, un giardino pieno di gatti, dove correre e giocare, e un cespuglio di rose. La mia nuova mamma mi ha detto che il suo grande amore era una gattina tutta bianca con un occhio blu e uno verde, andata via  esattamente lo stesso giorno di un mese prima per un lungo viaggio tra prati fioriti, con ruscelli e un grande bellissimo arcobaleno. Sotto al cespuglio di rose, poi, mi è stato detto che molto tempo prima era stata sepolta la madre di tutti i gatti. Ogni tanto lo guardo. Non so perché, ma mi ricorda qualcosa.

 

PAOLO JORIO

( da parte di Mamma Alessandra e Papà Paolo)

 

 

 

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